6 ottobre 2010

Alt un attimo ferma un poco il gioco

Grattacieli, grattacieli molto alti, come quelli delle grandi città dell'America, come quelli di Shanghai e di Tokyo. Grattacieli che sembrano essere stati poggiati in quell'esatto punto per sbaglio, in attesa di un'altra destinazione. Grattacieli che invece hanno radici di cemento e metallo che scendono giù giù sotto la strada. Con le luci rosse che lampeggiano intorno al cornicione per farsi avvistare dagli aerei, con un corpo massiccio, sinuoso per finta, ricoperto di vetrate che riflettono la luce gialla e grigia. Quella luce cupa che avverte i milanesi fermi al raccordo autostradale che sono arrivati a casa. E poi gru, tantissime gru, intorno alla stazione Garibaldi. Perché vogliono farne altri, vogliono farne ancora, vogliono farne di più, sempre di più. Anche se occuperanno tutto il cielo. Anche se tutte le piante dell'Isola moriranno senza luce.

"Le piante sui balconi moriranno?" chiede Valeria a suo fratello, guardando fuori dalla finestra.
Lui non la sente, in piedi sulla sedia sposta veloce i libri accatastati tra gli scaffali a muro. Con una gomitata fa cadere una pila di Dylan Dog.
"Ivan! Le piante sui balconi moriranno?"
"Vale mi cerchi un libro arancione?"
Ivan salta giù dalla sedia, raccoglie i fumetti e li getta sulla sopracoperta, poi a carponi tira fuori le scatole piene di vecchi quaderni da sotto il letto. Tasta con il palmo della mano il pavimento, raccogliendo la polvere di almeno un semestre.
"Cosa fai lì ferma? Ti ho chiesto di aiutarmi", dice a Valeria.
Cercano in tutte le tre stanze che compongono la casa. Stanze quadrate, incastrate tra loro, con il bagno che si apre sulla cucina, e la cucina che si apre sulla camera da letto. Guardano negli armadi, negli zaini e sotto il divano, in bagno vicino alla doccia. Valeria corre scivolando con le calze sul pavimento, mette la testa nelle pentole e in frigorifero, come se fosse possibile trovarci nascosto un libro. Si diverte, le scappa da ridere ogni volta che nota l'espressione preoccupata di suo fratello. Quelle sopracciglia che cercano di unirsi sopra il naso al limite della disperazione. Chiede a Ivan di chi è, il libro. In risposta solo silenzio e cuscini sbattuti.
"Una ragazza, è di una ragazza. E tu l'hai perso", canticchia strascicando le vocali.

Ivan la guarda, sorride. Il libro è di una ragazza. Si chiama Anna, prende ogni mattina un caffè macchiato al bar dei cinesi, alle sette e mezza circa. Ivan la saluta sempre con un cenno del capo, fanno colazione, ognuno occupato con se stesso, poi escono e vanno in due direzioni diverse, da cinque mesi.
"Ah, lui mi piace un sacco", ha detto Ivan ad Anna una settimana prima, indicando la copertina arancione poggiata sul bancone.
"Davvero? E cos'hai letto?"
"Stralci su internet".
Invece non è vero. Ivan non ha letto niente su internet, e poi ha perso il libro di Anna ancora prima di dare un'occhiata alla prima pagina. Non si ricorda neanche il titolo, o il nome dell'autore. Solo la copertina, arancione con un disegno nero al centro.
Si sono dati appuntamento per quella sera, alle dieci all'indiano di Via Pollaiuolo, dove la birra costa un po' meno. Lo ha proposto lei, per farsi riportare il libro.
"Scendo un attimo in libreria", dice Ivan a sua sorella. Magari lo ritrova, magari tra tutte le copertine c'è quella giusta, quella che serve a lui.
"Sì, ma Ivan, le piante sui balconi moriranno?"
Ivan non capisce subito, non vede perché le piante sui balconi dovrebbero morire.
"Per i grattacieli", gli spiega Valeria. Lo guarda dritto in viso, con la testa leggermente all'indietro per sconfiggere la differenza di altezza. Lo guarda seriamente, con tutta la preoccupazione che si può avere a sette anni.
"No, non moriranno. I grattacieli non fanno morire le piante, sono solo molto brutti"
"E allora perché li costruiscono, se sono brutti?"
"Per far vedere che ce l'hanno più duro", risponde Ivan con tutta la calma che si può avere a diciotto anni.
Valeria non sa cosa voglia dire suo fratello, chi sia quella terza persona plurale. Sta per fargli un'altra domanda. Non fa in tempo che lui è già sul pianerottolo.
"Torno subito, tu intanto controlla le piante".

Ivan scende le scale, sfiora con il gomito il corrimano, concentrato su un titolo che non ricorda. Scende le scale senza rendersi conto che dalle finestre dei piani inframmezzati non si vede più il cielo. Solo una parete di vetri che sale verso l'alto, a perdita d'occhio. Ancora più su ci sono solo i becchi delle gru, rossi e stonati. I grattacieli superano di centinaia di metri tutte le case del quartiere, le schiacciano, le sovrastano. Dall'alto Milano sembra un formicaio. Un labirinto grigio che si estende verso il Cimitero Monumentale, verso Buenos Aires e la Stazione Centrale. L'Isola quasi non esiste, oscurata da un paesaggio improvviso, sbagliato, da un paesaggio che fatica ad appartenerle. E Ivan sembra piccolissimo, mentre cammina per quelle strade di giorno in giorno sempre più buie.