7 dicembre 2009

Unwashed and somewhat slightly dazed

Avevo diciotto anni e ogni mattina alle otto e mezza alzavo gli occhi verso l'omino morto di bronzo appeso di fronte a me. Cercavo di tenere la testa sollevata piantando i gomiti contro la superficie del banco e le nocche appena sotto gli zigomi. Avevo deciso che non avrei mai più dormito per un tempo superiore alle quattro ore per notte. Secondo la mia teoria, riuscendo a mantenere stabile un livello di stanchezza piuttosto elevato, sarei stata troppo impegnata a cercare di non addormentarmi per potermi rendere effettivamente conto di quello che mi succedeva intorno. Dopo quattro mesi sembrava funzionare ancora. Guardavo l'omino crocifisso di fronte a me per tutta la mattinata. Ogni tanto abbassavo lo sguardo verso il professore di filosofia e gli chiedevo di raccontarmi di Bakunin. Non cambiavo mai argomento. Avevo cominciato a chiedergli di Bakunin appena si era messo a spiegare Hegel. Ma no, stiamo facendo Hegel, aveva cercato di dirmi. Sì, ma io voglio sapere di Bakunin. In seguito era passato a Marx , io gli avevo detto di raccontarmi di quella volta in cui Marx aveva litigato con Bakunin. Lui l'aveva fatto. Poi aveva cominciato a distribuire fotocopie su Heidegger. Mi parli ancora un po' di Bakunin, gli avevo chiesto io. Ma l'abbiamo già studiato, aveva glissato quel professore di filosofia. E non ne aveva più voluto sentire niente. A parte Bakunin la mia attenzione era rivolta solo all'omino di bronzo. Mi pareva fosse l'unico, in quel contesto, la cui situazione di disagio fosse abbastanza palese da suscitare la mia simpatia nonchè muta comprensione. Non guardare per aria, mi diceva ogni tanto il preside, che insegnava anche greco. Non sto guardando l'aria, volevo dirgli, siete voi che l'avete messo lì, quell'omino agonizzante, io ci passo solo un po' il tempo. Poi però stavo zitta e facevo una smorfia che consisteva nel serrare le labbra e accartocciarle e nel contempo alzare le sopracciglia. Allora il preside sospirava e io sollevavo di poco l'angolo sinistro della bocca.
Quelle quattro ore per notte erano un toccasana, per i miei rapporti umani.

27 novembre 2009

SLAM X

Pare che ci sarà un reading, a Milano, questo weekend.
Pare che sia organizzato dall'Agenzia X, sabato 28 Novembre dalle 21.00 alle 3.00 e domenica 29 Novembre dalle 17.00 alle 23.00, al csoa Cox 18, in via Conchetta, sulle sponde del Naviglio Pavese.
Pare che questo reading abbia un nobile scopo: salvare questa città, che è diventata proprio un postaccio, farci credere, almeno per qualche ora, che "si può vivere anche a Milano".
Pare che tra gli autori che interverranno si possano contare anche: Giuseppe Genna, Antonio Scurati, Marco Philopat, Vasco Brondi, Sandrone Dazieri, Antonio Moresco (ma potete trovare la lista completa con gli orari QUI)
E pare che ci sarò anch'io, a leggere sul palco del Cox, domenica 29 alle 17.35. Forse cadrò dalla sedia, forse inciamperò nel filo del microfono, forse mi si incepperà la erre.
Insomma, pare che ci siano un sacco di buone motivazioni per fare un salto, così, se per caso vi andasse.

9 novembre 2009

Wimble.doc

E insomma, a quanto pare ho vinto, le mie "Navi ribelli di Urano" hanno fatto un ottimo lavoro, distanziando Mrt di ben 32 voti!

Adesso è il mio compare, compagno, amico, chi più ne ha più ne metta, Michele Turazzi a ritrovarsi in sfida contro Matteo Pascoletti di Mrt; e inutile dire che questa ultima mano determinerà quale delle due squadre andrà in finale. Quindi, se avete cinque minuti liberi e volete contribuire al perfido meccanismo del voto da casa, potete leggere il racconto di Michele, "Il vecchio e l'ombrello", qui.

Invece qui sotto vi beccate il racconto che ho portato al primo turno (la sfida completa è su wimble.doc). Si intitola "Blu Cina" e parla di golf claustrofobici, cani moribondi e pranzi di famiglia.

Blu Cina
Volevo dirti di quando non sono venuta a conoscere i tuoi genitori per salvare i miei maglioni dal soffocamento. Tu non lo sai, come sono andate veramente le cose. Per te io sono solo la stronza che è stata attesa per quattro ore mentre tua madre telefonava alle ferrovie per sapere se c’erano ritardi e il pollo arrosto diventava talmente duro e stopposo da non essere buono neanche per il cane. Io lo capisco, che per te fosse importante presentarmi la tua famiglia, ero anche andata a comprare un vestito con la vita alta e la scollatura tonda, che mi facesse sembrare femminile ma non volgare, nella speranza che tua madre accettasse finalmente la mia presenza nel tuo letto. Volevo davvero conoscere tuo padre, che, mi raccontavi, si vantava di come, in dieci anni di ineccepibile direzione, alla Mivar di Rosignano ci fossero stati solo due scioperi, e il tuo fottutissimo cane in fin di vita da ormai almeno due anni, per cui ogni fine settimana ti precipitavi in Toscana a dargli l’ultimo saluto. Certo, dover dormire in camere separate, con bagni separati, su due piani diversi, mi pareva un po’ eccessivo, ma ho pensato fosse meglio fare finta di niente. Insomma, ero pronta per partire. Avevo appena piegato le mutande e stavo finendo di truccarmi quando mi è sembrato di sentire dei colpetti di tosse isterici che provenivano dalla valigia. Sono rimasta interdetta un attimo, poi ho continuato a mettermi il mascara. E di nuovo ho sentito gli stessi colpetti di tosse. “Cof, cof, cof”, dei suoni deboli e sommessi provenivano dal sacchetto dei golf. “Devo smetterla di essere così nervosa per uno stupido fine settimana con uno stupido cane moribondo” ho pensato massaggiandomi la tempia. Non ho fatto in tempo a voltarmi che l’ho sentito di nuovo, il coro di puffi con la tisi, “Cof, cof, cof” e poi delle vocette flebili-flebili che gridavano “Aiutooo, aiutooo”. Potevo distinguerlo chiaramente, un s.o.s. in piena regola che proveniva dall’interno della mia valigia. Non me lo stavo immaginando. Ho aperto la valigia e hanno smesso. L’ho richiusa e hanno ricominciato. Vedi, io volevo davvero venire a pranzo a casa dei tuoi genitori, avevo comprato anche un paio di scarpe nuove insieme al vestito e avevo prenotato un posto vicino al finestrino. Ho fatto di tutto per riuscire a partire, ho provato ad indossare i maglioni uno dopo l’altro, ad appallottolarli nella borsa, a metterli in un ordine diverso, prima in cima uno, poi un altro, ma non stavano bene in nessuna posizione. E ogni volta che provavo a rimetterli impilati in valigia ricominciava il coro di vocette in preda al panico. Quando il treno è partito io ero ancora seduta sul letto a spostare i maglioni dentro e fuori dalla valigia. E a quel punto era troppo tardi. Avrei voluto telefonarti, spiegarti che non era colpa mia se avevo scoperto all’ultimo minuto che i miei maglioni soffrivano di claustrofobia, invece mi hai preceduta tu, con quel “vaffanculo” definitivo. Te lo assicuro, se l’avessi saputo prima, che avevano questo problema, mi sarei organizzata diversamente, ma a quel punto non potevo certo essere così spietata ed egoista da lasciare soffocare i miei maglioni solo per non perdere un treno.

5 novembre 2009

Le navi ribelli di Urano

Le cose stanno più o meno così:

Mesi or sono i compari di Follelfo mi cooptarono per partecipare con loro a Wimble.doc. "E' un torneo di racconti tra le meglio riviste letterarie del web", mi dissero e io non potei rifiutare l'offerta. Ci venne dato l'onore di inaugurare la tenzone, gareggiando contro Il traghetto mangia merda, e vincemmo tre sfide su tre.

Ora, dopo innumerevoli peripezie e spargimenti di sangue, siamo finalmente arrivati in semifinale. Ci battiamo questa volta con Mrt, che ha vinto la prima sfida schierando Gianluca Pezzella contro il nostro Gianluca Senis.

Adesso tocca a me, se volete vedere la sfida completa (e, perchè no?, votare) potete farlo a questo link.

Qui di seguito, il mio racconto:

"Le navi ribelli di Urano"

Tra le molteplici vie per rendere partecipe del proprio disagio chiunque gli stia gravitando intorno quella che Gregorio Arioldi preferisce è indubbiamente la vibrazione della gamba. Polpaccio destro appoggiato su ginocchio sinistro, fa partire la vibrazione con un movimento semi rotatorio della caviglia per poi lasciare che propaghi fino alla coscia ed investa l’intera persona. Seduto sul muretto di fronte al supermercato aspetta che arrivi il momento giusto per passare all’azione, trasmettendo il suo nervosismo vibratorio ad un ragazzo dal colorito arancionemikebongiorno che lo osserva con diffidenza. L’orologio segna le diciotto e quarantacinque, ancora pochi minuti e l’intero popolo impiegatizio, libero dal lavoro, si riverserà tra le porte scorrevoli. Solo allora la confusione sarà tale da permettergli di agire indisturbato. Gregorio si sistema la sciarpa stretta intorno al viso, afferra la bomboletta di colla spray nascosta nel tascone della felpa e, non appena i corridoi si trasformano in un incubo di carrelli e bambini dispersi, si getta nel flusso delirante della spesa serale. Arrivato davanti al ripiano dei cereali afferra i fiocchi di riso ricoperti di cioccolato, spruzza la colla sul retro della scatola e ci attacca la sua ultima fatica: “Bomba di neutroni su Saturno”. Seguono “Il collasso della galassia di Scranz” sugli anelli al miele e “Non ti scordar di me, mia bella venusiana” sui cereali dietetici. Gregorio Arioldi, trentadue anni e undici mesi, il terrore di morire entro i trentatré come Gesù Cristo, è un autore di fantascienza. Dopo aver scritto pagine su pagine di efferate congiure intergalattiche e averle sistematicamente chiuse in un cassetto, ha deciso, con la quasi certezza dell’imminente fine della propria esistenza, di coprire le tabelle caloriche delle colazioni dei suoi concittadini con la propria arte. Ha quasi finito la colonna degli anelli al miele quando si sente chiedere, da una voce delicata ed incerta che non ha niente a che vedere con quella di un addetto alla sicurezza, se per caso è proprio lui Gregorio Arioldi. Gregorio si volta interdetto, tenendo ancora a mezz’aria la colla spray, trovandosi davanti una ragazza dagli occhi grandi che tende verso di lui una scatola degli zerovirgolaunpercentodigrassi in attesa di un autografo. Perché, gli spiega, lo legge fin dalla “Struggente epopea degli aspiratori di raggi gamma”. Gregorio Arioldi è emozionato come il giorno della sua prima missione e, non potendo far vibrare la gamba, che gli è necessaria per mantenere una postura eretta, lascia la palpebra sinistra cadere preda di un tremolio convulso. Chiede alla ragazza dagli occhi grandi se può offrirle un caffè, ma poi, senza attendere una risposta, la trascina con sé di scaffale in scaffale, riempiendole le braccia di pacchi di miscela, cosicché possa berne non uno, ma tutti quelli che vuole. E ancora le compra delle fettuccine e poi del pesto con cui condirle, e un massaggiamuscoli per quando è stanca, e dei supereroi di cioccolato se dovesse sentirsi triste. E alla fine la lascia lì, con due sacchetti di regali, mentre corre via, con la palpebra sinistra che ancora non vuole capacitarsi del suo riconosciuto talento, dimentico di non aver autografato “Lune bordeaux nel freddo siderale” sul retro dei cereali zerovirgolaunpercentodigrassi.

11 ottobre 2009

Ask the dust

"Sotto questa pressione non esiste completezza. Come in un perenne cantiere. I bordi della fotografia fuggono. Le prospettive si allargano. [...] non finiscono mai, il cantiere, la città, e continuano a cambiare."

Salivamo di terrazza in terrazza verso la cima del Duomo e Veronica zoppicava. Veronica, che conosco da quando ha lasciato il mio amico e facevamo la spesa per la giornata occupata al supermercato dietro le colonne di San Lorenzo. Si è storta un ginocchio ballando di notte; e non era in discoteca con tacchi, su cubi e cubetti di ghiaccio nella schiena, ma erano le nove e lei teneva un bambino che indossava solo capi firmati. I bambini a Milano crescono in cattività, in case troppo belle per essere reali e con un pavimento lucido su cui non si può pattinare e tavoli in mogano su cui non si può disegnare. E Veronica ballava per far contento quel bambino con tutti capi firmati e in fondo non è importante che sia dovuta salire sul Duomo in ascensore, pagando tre euro in più e facendo vedere la borsa ad un poliziotto campano. Dalla cima del Duomo si vede la casa bellissima del bambino ed anche tutte le altre case bellissime e perfino le case meno belle e le uniche due torri di Milano, una a destra ed una a sinistra. Milano diseguale, disarmonica, cresciuta un po' a caso, come i ciuffi d'erba di una piazzola in periferia. Ed è bassa questa cattedrale bianca ed è minuscola questa città grigia. Quando ero piccola quell'intrico di guglie era immenso e correvo lungo il tetto di marmo tenendomi in punta di piedi, senza fermarmi un secondo e saltavo di lastrone in lastrone pensando che fosse un gioco stupendo. Adesso con dodici anni di più e Veronica che ha male alla gamba aspetto che qualcosa arrivi, o vada, o torni. E da quest'altezza Milano fa paura, Milano ventre di balena. Fa paura, non sapere per cosa queste guglie ci hanno educate e sentire che c'è qualcosa di incompleto in questa gabbia trash per giapponesi e tedesche. La Torre Velasca mentre scorre la sera sembra un vestito di marca che stringe in vita, con tutti i bottoni saltati, con tutte le finestre saltate. Milano cambia incessantemente dopo ogni immersione ed Eraclito dopo l'ennesimo tuffo fa le valige e pensa "fanculo, io di qui me ne vado". Milano vortica, vortica, vortica e non si ferma mai e a noi che siamo su in cima al Duomo sta venendo il mal di mare e quasi abbiamo l'impressione che tutto stia per affondare, portandosi dietro le guglie e i turisti, giù giù nella pancia della balena.

25 settembre 2009

Bacia il colpevole

Settembrizzatore, s.m., dal francese septembrisateur, "chi compie spietati delitti politici", "chi prese parte ai massacri di settembre del 1792 durante la rivoluzione francese".
Ed era sempre colpa di Marat.
Adesso non è più colpa di Marat. Credo sia questo, a metterci a disagio.

(se dice la verità)

20 agosto 2009

Not alone (yet)

"Lo sai cosa penso?"
"No."
"Penso che tutti, una volta nella vita, dovrebbero poter far vivere un oggetto inanimato e farselo amico."
Urge una pausa di riflessione. Dovrei incoraggiarlo?
"Per esempio?" chiedo impensierito.
"Non so, un'arancia."
Si gratta il mento, come fa tutte le volte che rimugina questo genere di pensieri.
"O un martello."

(D. Eggers - L'opera struggente di un formidabile genio)

4 agosto 2009

Jusqu'ici, tout va bien.

Federica ha i capelli biondi, lunghissimi. Sono lisci, ma lisci finti, lisci di piastra, che è uno strano oggetto oblungo in ceramica, una sorta di maquillage per capelli. Ha con se una borsa di Chanel, originale, di sua nonna perchè adesso ipotecando un rene riuscirebbe a comprarne solo un manico, fucsia. E sta bene, il fucsia risalta sul vestito nero. Federica è nera e fucsia, un po' bionda e accanto a lei ci sono io. Guardiamo tutte e due verso l'alto, abbiamo il collo piegato all'indietro e la bocca semiaperta come delle foche stupide che aspettano una sardina. C'è stato uno scoppio, all'ultimo piano di quel palazzo all'angolo. I pompieri e la polizia sono davanti al portone da circa mezz'ora, non riescono ad aprirlo. E' ridicolo che non riescano ad entrare in una casa, sono tantissimi e si guardano tra loro un po' imbarazzati, quasi scusandosi con la folla. Federica aspetta il morto, io la strage di stato. Non ci saranno nè l'uno nè l'altra. Anche se il morto sarebbe più plausibile, di venerdì sera in un condominio senza nome. Siamo atroci. Io e Federica. Legate a coppie di mezz'età e adolescenti in vacanza dalla stessa morbosa attenzione per qualcosa che ci riguarda sicuramente meno della presenza di altre forme di vita nell'universo o dell'estinzione della mantide religiosa (che tuttavia mi auguro avvenga presto). Poco prima abbiamo chiesto a dei giornalisti cosa stesse succedendo. Non lo sapevano. Erano lì per fotografare minorenni ubriachi. Da stasera è vietata la vendita di alcolici ai minori di sedici anni, ci hanno detto. Una fetta di liceali sbronze in meno, niente di particolarmente drammatico, insomma. Hanno fotografato Federica mentre teneva in mano una birra, chiedendole di dimostrare cinque anni di meno. Lei ha sorriso dimostrando cinque anni di meno. E poi ci siamo trovate a guardare verso l'alto un punto imprecisato, da dove ipotizzavamo potesse essere venuto lo scoppio. Aspettiamo che succeda qualcosa. Qualsiasi cosa. Che una finestra si spalanchi e un chitarrista ubriaco compaia sul cornicione urlando "Sono il re del mondo" prima di gettarsi tra il pubblico in delirio, ad esempio. Oppure che dal tetto una vecchina circondata da gatti rossi maledica in una lingua arcaica i pompieri, travolti dal loro stesso camion trasformatosi in un robot dalle fattezze umane. Poi guardo le persone intorno a noi, così tristi da togliere il fiato. E' tutto così triste da togliere il fiato. Siamo atroci. Io e Federica. E fa caldo, incredibilmente. "Andiamo via", le dico. Agosto fa schifo.

29 giugno 2009

Come agnello nel kebab



(Valerio Millefoglie - 14 Gocce di Valium)

26 giugno 2009

The good, the bad and the ugly

FiuFiuuu WaWaWa
FiuFiuuu WaWaWa

FiuFiiiii WaWaWaWaaa

FiuFiiiii WaWaWaaa

Avevo 17 anni e cercavo di occupare la scuola, quando uno del collettivo, più grande di me di un paio d'anni, per la prima volta mi ha chiesto di prestargli la catena della bicicletta. Per picchiare i fascisti, mi ha detto. Io ritenevo fosse una nobile causa, picchiare i fascisti e gliel'ho prestata senza fare un plissè. Poi ho passato la giornata accucciata sui banchi davanti all'entrata per fare servizio d'ordine: io e il mio metro e sessanta avevamo deciso di diventare i katanga del liceo-ginnasio. Mi sentivo pericolosa e importante. Invece ero solo molto magra, senza possibilità di esprimere la mia preferenza alle elezioni e con un mal gestito amore per l'umanità tutta. Quando raccontai l'episodio a casa mia madre alzò un sopracciglio con una risatina isterica. E basta. Il mio afflato rivoluzionario distrutto da una smorfia. La verità è che non avevo ben chiaro chi fossero questi fascisti e tantomeno dove si trovassero effettivamente. Quel che è certo è che, se c'erano, non entrarono mai in contatto con la catena della mia bicicletta. Nè quella volta, nè le successive. E forse non erano davvero alla nostra portata, i fascisti pericolosi, all'alba del nuovo millennio, nè era davvero pericoloso dormire in un liceo occupato quando l'unica preoccupazione effettiva era fare in modo di finire nel sacco a pelo del giovane rivoltoso carino. Me ne rendevo conto, che, più che ad una barricata del '48, la situazione in cui c'eravamo cacciati somigliava ad un campeggio collettivo al chiuso e senza ragni. Ma ero davvero convinta che l'articoletto sulle occupazioni decembrine pubblicato nelle pagine di Milano dopo lo sciopero dei tranvieri contribuisse a cambiare, non dico il mondo, ma almeno la città. Ero davvero consapevole che quel pathos concitato non si sarebbe mai più presentato con la stessa forza. Non ero ancora uscita dall'adolescenza e già vivevo nel ricordo delle esperienze che stavo facendo.
La settimana scorsa avevo 21 anni quando, guardando qualche sampietrino divelto dietro Piazza Fontana, ho pensato, con un'associazione mentale dura a morire, che passa dal lastricato milanese, all'elogio alla parabola del sampietrino di Andrea Bellini, alla catena della mia bicicletta, "Quanto potevo essere stupida?". E forse era davvero stupida e leggera, la me di qualche anno fa. Ma comincio ad essere sicura che sia stato quel compulsivo attivismo politico minorenne e privo di cognizione di causa a permetterci di diventare, magari non migliori, ma sicuramente più belli. E il Bello, ce l'ha insegnato Platone quando cercavamo fascisti immaginari, è ad un tiro di sampietrino dalla Verità.

17 giugno 2009

Cose e altro

- Come sta Mark?
- Benissimo - Len alzò le spalle.
- Che racconta di sé?
- Ieri sera ha detto che non avrebbe più sputato.
- Sono contento di sentirtelo dire.
- E io sono contento di poterlo dire.
- Cosa avrà da sputare tutto il tempo?
- Beh, gli piace farsi una bella sputata ogni tanto.
- Sì, ma su cosa sputa, o non sputa, in questo momento? - chiese Pete.
- Sul mio Maestro.
- Chi?
- Cristo. Gesù Cristo.

(H. Pinter - I nani)

8 giugno 2009

Il sacrificio della patria nostra è consumato


No. Niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare…come dei gabbiani ipotetici.
E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana
e dall’altra il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.

2 giugno 2009

Magari (magari) ti interessa

"E - vi preghiamo - quello che succede ogni giorno
non trovatelo naturale.
Di nulla sia detto: è naturale
in questo tempo di anarchia e di sangue,
di ordinato disordine, di meditato arbitrio,
di umanità disumanata,
così che nulla valga
come cosa immutabile".

Ecco, io lo trovo molto bello. O forse importante, non bello. Lo ha scritto Brecht, nel 1930, che per lui (e un po' per tutti) era proprio un periodaccio. E mi ha ricordato le streghe del Macbeth quando all'inizio, proprio nelle prime righe, saltellano tra tuoni e lampi declamando "Fair is foul, foul is fair" - con tono possibilmente tra il concitato e il gracchiante -. E tutta quella storia dell'ordine politico che si riflette sull'ordine del creato e che, in sostanza, se rinchiudi dei bambini nella torre di Londra perchè la loro esistenza ti infastidisce, ci sta anche che la civetta canti di giorno (ma questo non c'entra, anzi, c'entra, ma è un altro plot).
Sì insomma, magari ti interessava sapere che sei autorizzato a trovare innaturale anche ciò che sembra essere diventato la regola.
...
...
Rettifico: non è che tu sia proprio autorizzato, però se ci fai un pensierino, possibilmente in silenzio e senza testimoni, non credo possa succederti niente.



(Ah, si intitola "L'eccezione e la regola", l'opera di Brecht)