1 novembre 2010

Diaristica

Da grande voglio fare Kofi Annan, mi diceva Francesca. Aveva gli occhi grandi e una sorella piccola a cui faceva i compiti di inglese. Non era brava in inglese, la sorella piccola. Francesca sì, Francesca era brava in molte cose. Tornando a casa da scuola mangiavamo i surgelati della Findus, fuori pioveva forte, su via Foppa. Pioveva spesso, per tutto l'inverno. Si fumava sul balcone, con le gocce che rimbalzavano sulla balaustra di metallo, gettando il filtro della sigaretta con un movimento veloce del pollice e del medio. Pioveva sempre e io ero sempre a casa di Francesca. Anche quando ho incendiato la scrivania di fronte al suo letto pioveva. La scrivania era in legno, come la maggior parte delle scrivanie, superficie lucida e chiara, la luce calda, i copriletti rossi. Il resto della casa era in ristrutturazione, mancavano le porte. La casa di Francesca era sempre in ristrutturazione, ogni tanto cambiava l'ordine delle stanze, altre volte solo la disposizione dei mobili. Io ero triste, di quella tristezza atroce che si prova solo a sedici anni, quando le ingiustizie sembrano riversarsi sull'esistenza come la guerra. Come i simulatori di viaggi spaziali al Lunapark, che si fermano nel momento esatto in cui senti le budella implodere, lasciandoti in piedi sulla terra sporca, con la testa che gira e niente di reale da incolpare per la nausea che sale. Fuori pioveva ed era incredibilmente buio, su via Foppa. Giocavo con un foglio di carta e un accendino, perché quando si è tristi, a sedici anni, non si pensa alla combustione, non si pensa proprio alla chimica. Il tavolo è stato spento da Francesca, io l'ho acceso e poi l'ho anche indicato, ma non spento.
Ancora adesso a Milano continua a piovere spesso, in inverno, e le stanze della casa di Francesca hanno cambiato ordine molte volte. La scrivania però c'è ancora, ha una macchia scura al centro. Francesca vuole fare Kofi Annan, forse.